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Caro Evan Hansen

6 Novembre 2021
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di Arianna Di Perna

Stephen Chbosky porta sullo schermo l’omonimo spettacolo di Broadway Caro Evan Hansen, un dramedy-musical capace di arrivare al cuore dello spettatore.
Ho visto film in anteprima alla festa del cinema di Roma e uscirà in Italia il 2 Dicembre 2021.

Caro Evan Hansen è il film musical prodotto da Marc Plattcon. Protagonista il figlio Ben Platt, già protagonista dello spettacolo nei teatri dell’omonimo musical di Broadway portando in scena le vicende di Evan Hansen, giovane liceale alle prese costantemente con la paura di aprirsi al mondo, con un’ansia patologica che non gli permette di vivere serenamente la sua adolescenza.

La trama si gioca su un equivoco che cambia le carte in gioco; ad essere coinvolto è Connor (Colton Ryan), un ragazzo violento e incompreso, compagno di classe di Evan, che conosceva appena, ma che è stato l’unico a lasciargli la firma sul braccio ingessato prima di togliersi la vita.
La madre Cinthya (Amy Adams) e il patrigno (Danny Pino) del ragazzo deceduto trovano in Evan un conforto, credono infatti che il ragazzo fosse l’unico amico del figlio per una lettera in realtà scritta da Evan per se stesso (per questo il titolo “Caro Evan Hansen”).
Spinto dagli eventi, il protagonista inventa la storia di una grande amicizia che in realtà non è mai esistita e riesce a fare breccia nel cuore della sorella di Connor, Zoe (KaitlynDever).
Tutto cambia, Evan diventa l’emblema dell’accettazione, della disinvoltura nei rapporti umani ma pian piano non riesce più a reggere il peso delle sue bugie e tutto il suo castello di convinzioni crolla.

Il punto forte dell’intera narrazione è l’equilibrio tra ironia, dramma e performance canore. C’è una grande audacia nel portare in scena un adattamento che mette in luce la difficoltà dei giovani d’oggi nel rapportarsi con i coetanei, nella coltivazione di legami veri e autentici per dar spazio alle loro emozioni e ai loro sentimenti. Il film ci fa capire come la solitudine e la non accettazione sia un vincolo: “costruire” amicizie superficiali sono un vincolo sociale che ci porta a conoscere tante persone solo per il gusto di poter dire di conoscerle, senza mai concentrarsi sul loro modo di essere, sul loro modo di relazionarsi. L’amicizia e la fiducia vera, invece, vanno coltivate e non crollano alle prime difficoltà. Il film è un inno ai rapporti umani che vengono mostrati nel modo più semplice e autentico possibile senza cadere mai nel patetico.

La bugia di Evan fa credere allo spettatore che per tutti i disagi subiti lui si meriti quello che gli sta succedendo e autoconvincersi che tutte le menzogne costruite siano vere. Il racconto della “finta” amicizia tra Connor e Evan sta davvero aiutando delle persone che, come i due ragazzi, si sentivano soli e insicuri e grazie a questo Evan finalmente si sente il merito di qualcosa e soprattutto parte integrante di un gruppo.
La realtà è dura e il protagonista sa di dover affrontare il suo peggior nemico: se stesso.

Troviamo un’ottima interpretazione di Ben Platt fin dai piccoli gesti incerti, dai continui tremolii nelle mani e nella voce, con un’attenzione particolare ai dettagli degli occhi e degli sguardi.
Viene intrapreso un viaggio dentro se stessi, un viaggio metaforico che il protagonista vive con un’altra famiglia che non è la sua, quella di Connor. Nella non comprensione tra genitori e figli, Evan ha un rapporto conflittuale con sua madre Heidi (Julianne Moore) che non riesce a dimostrargli tutto il suo amore e ad accettarlo così com’è. In realtà dall’altro lato viene mostrata una madre apprensiva che vuole proteggerlo e fargli capire come lui sia il centro del suo mondo.

La visione intimista di Evan e di tutti i personaggi porta in scena il rispetto, il tatto e la delicatezza dei gesti e dei modi in cui vengono trattati i temi delicati dell’ansia giovanile e della fobia sociale. Il film vuole domandare agli spettatori, ma soprattutto alle persone, come affrontare il disagio, che a volte il mondo ci propone. Abbattere le proprie insicurezze e fare i conti con i propri demoni per essere costretti, alla fine, a confrontarci con noi stessi.

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