di Ludovico Riviera
C’è oramai una tradizione pluridecennale, nel mondo dell’intrattenimento mondiale, basata su quel fenomeno, una volta dotato di certo romanticismo, noto come voyerismo.
Il voyerismo mediatico non è infatti cosa nuova: il Grande Fratello televisivo, il programma che forse ha più di tutti polarizzato il senso perverso (e malriposto) dell’osservare senza essere visti, esordisce oramai più di 20 anni fa, nel 1999.
A chi non piace farsi divorare dalla curiosità di sbirciare? Moltissima acqua è passata sotto i ponti da allora: la tv si è nel frattempo infarcita di reality show e programmi dove il nobile retaggio teatrale, coreografato, minuziosamente programmato e platealmente finto della televisione d’annata s’ibrida sempre più volentieri col lato prosaico delle vite personali dei sui protagonisti, in un’improvvisazione che solo raramente ha del genuino.
Tutto per il gusto di ‘spiare’: ma se tale evoluzione dei contenuti mediatici non interessa solamente l’Italia (importiamo incredibili, e respingenti, programmi americani di ogni tipo; ridiamo a quelle che ci paiono esagerazioni orientali, e così via…) il belpaese vanta una specifica tradizione, di cui The Ferragnez è lineare conseguenza, nonché avatar della sua massima espressione.
La tradizione voyeristica italiana è particolarmente devota (e coriacea, in questa sua fedeltà) ai temi sociali che interessano la maggior parte dei compatrioti telespettatori: la famiglia ‘tradizionale’, l’amore coniugale – e i problemi ad esso annessi – , ma anche il successo economico, nonché una forte dose di sana invidia per la possibilità d’ostentare che, ammettiamolo, condividiamo un po’ tutti.
Sono funzioni tematiche che ritroviamo sovente in qualunque tipo di programma (reality, fiction, varietà, film e serie, quiz a premi) nostrano. D’altronde, se vantiamo una fortissima stirpe di personaggi del calibro di Maurizio Costanzo (dalla cui costola è emersa Maria de Filippi) assieme ai troppi altri per essere qui menzionati, il continuo flirt dell’intrattenimento con la privacy dei personaggi è inevitabile: aggiungici poi l’avvento dei social… The Ferragnez è il non plus ultra della tendenza, il prodotto perfetto: ineccepibilmente confezionato, travalica qualsiasi possibile distinzione fra realtà e fantasia che si potrebbe pensare di applicare ad uno show on demand.
La produzione Prime video, d’altronde, è andata a colpo sicuro: visti collaudati i format statunitensi basati ad esempio sui Kardashian, la celebre coppia di influencer, imprenditori, cantanti e chi più ne ha, sono da anni all’opera nel costruire la loro ribalta nel vasto mondo dell’opinione pubblica. La loro carriera, le loro vite, fin da prima di conoscersi e diventare ciò che sono, furono votate al baratto del contegno con fama e potere. Così duraturo, tale successo non ha potuto che erodere sempre di più qualsiasi possibilità di ritrosia e riserbo, divenuti anzi, nella loro sostanziale assenza, il motore dei problemi della coppia. E qui troviamo il genio della serie: nello storytelling, e specialmente nella narrazione delle motivazioni dello show.
I cinque episodi – in cui fondamentalmente vediamo spaccati di vita quotidiana della coppia, inframezzati dai commenti di onnipresenti familiari e altri comprimari – si snodano attraverso altrettanti temi snocciolati nel corso di sedute psicoterapeutiche nelle quali i protagonisti, confessandosi, forniscono l’impalcatura narrativa di ciascun segmento, il tema della puntata. Ognuna delle quali finisce con la risoluzione di un nodo affettivo che attanaglia la coppia, che però appare perfettamente a suo agio in ogni altro momento della serie. I problemi ‘pratici’ combaciano spesso coi problemi affettivi: così Chiara Ferragni (la vera reggente dell’equilibrio familiare: seria, equilibrata, maniacalmente organizzata) fatica ad esempio a tollerare l’estro esagerato del marito Fedez, apparentemente ancora insicuro nel suo ruolo guadagnato tramite una pur legittima gavetta. Lui, l’elemento saturnino della coppia, pare quasi stia sopprimendosi per poter resistere sul trono del successo e stare al fianco di una moglie certo amata, ma nei cui confronti, forse, non si sente alla pari (e anche se col terapeuta emerge il contrario, non si sa a cosa credere).
Il figlio dei due, Leone, è ignaro: la parentesi di ingenua, quanto veramente autentica felicità; una felicità destinata a durare il tempo dell’innocenza, reale proprio perché effimera.
In generale, lo spettacolo affronta tutte le questioni urgenti che qualunque persona, quale che sia il suo retaggio sociale e d’istruzione, si ritrova a dover affrontare oggi: come far combaciare lavoro e vita privata, come giostrarsi tra famiglia e amici, come amare il proprio partner, eccetera… noi, forse, non siamo circondati da un entourage tutto il giorno tutti i giorni ma, certamente, affrontiamo un microcosmo di questioni analoghe a quelle dei due titani: riusciamo pertanto a empatizzare con loro, riusciamo minimamente ad essere lì presenti, possiamo provare a capirli.
Anche se da spettatori passivi entriamo così, un poco, nella messa in scena del privato altrui, aggiungendo l’ennesimo tassello all’aspirazione che ispirò il primo Grande Fratello 22 anni fa, oggi un po’ più soddisfatti, un po’ più radicalizzata di ieri.
Le domande che possono emergere dalla visione, e che denoterebbero l’estrema intelligenza del docu-reality, se non ci si fermasse ai più superficiali strati di lettura, sono pirandelliane (di italiano non c’è solo la pizza e il mandolino): dove finisce la maschera, e dove inizia il volto vero della coppia più celebre d’Italia?
Dove finisce il nostro voyerismo e dove inizia la nostra patologia, quella che ci spinge a imbarcarci nell’impervio terreno della vita da socialite (chi non usa i social oggi?) senza riuscire a non rinunciare alla nostra autonomia, imitando, anche se indirettamente, i maestri di questo ambiente inesistente, nel quale ogni rapporto umano, ogni sorriso e ogni parola, ogni paranoia diventano transazioni commerciali? Ma, soprattutto: perché tutto ciò ci magnetizza inesorabilmente?
Forse perché nelle affettate figure di Fedez e Chiara vediamo qualcosa di noi. Qualcosa di molto elementare, di molto umano, pur nella sottile ipocrisia di uno show d’intrattenimento.
The Ferragnez è per tutti ma è anche per nessuno. È un prodotto polivalente, perfettamente rappresentativo del tempo corrente, il cui valore è, perciò, del tutto determinato dalla sensibilità di chi lo guarda. È arbitrario: loro senza di noi non son nulla, perché dunque pare che valga il contrario?
Non sentitevi in colpa, godetevi la catarsi: noi vorremmo anche, sotto sotto, essere un po’ loro, ma sono i Ferragnez ad esser più come noi di quanto crediamo.