di Cristina Ruffoni
“…Buona lettura. La carta la carta la carta. Non perdetela. O forse sono io che mi nutro di fantasmi. I libri. Quelli che più di tutti, se non qualche donna, mi rammentano la mia giovinezza e le sue passioni…”
Giampiero Mughini
“La vita non spiega l’opera” – scrive M. Merleau Ponty e Cézanne é un sostenitore della scomparsa dell’opera stessa, in quanto importa meno il risultato della “realizzazione”. Non è della stessa opinione lo scrittore Giampiero Mughini, che nel suo ventisettesimo libro e mezzo: Che profumo quei libri – La biblioteca ideale di un figlio del Novecento, (Bompiani), esalta e condivide con il lettore una sua particolare e speciale collezione, raccontando per ognuno di questi testi, di come erano nella loro prima edizione, svelandone i retroscena inaspettati e le storie, facendo emergere le ossessioni e le avventure degli autori, alcuni conosciuti personalmente, convinto invece, che quelle esistenze comunicano e che quelle opere da fare esigevano proprio quelle vite. Da quella tragica di Pascoli, fino a Umberto Saba, che inventa Intermezzo quasi giapponese con due amici al bar a Trieste, il poeta Virgilio Giotti e il pittore Vittorio Bolaffio, lo stesso che chiese a loro: “Cosa resta della nostra vita? Cosa rimarrà della nostra amicizia?” Una disperata sfida al digitale, però sono proprio quegli indispensabili libri di carta, non tutti famosissimi e riconosciuti, che possono, colpirti al cuore e lasciarti diverso, più consapevole del mondo.
In un’epoca dominata dai “like” cliccati sul computer e dal consenso e dal valore determinati dalla quantità di copie vendute da bestseller nella top ten, i libri novecenteschi scelti da Mughini, letti da una minoranza, con un numero di copie limitato, sono state spesso destinate al macero, come quelle dell’edizione originale del 1947 di Se questo è un uomo di Primo Levi, finite in uno scantinato di Firenze invaso dall ’alluvione.
Il motivo per cui, questo libro é iniziato, è stato il ritrovamento da parte dell’autore di una edizioncina del 1891 di Myricae di Pascoli, opera che inaugura la biblioteca narrata da Mughini, proprio oggi che i libri, si leggono e si acquistano quasi solo su Amazon. Forse è anche questa caccia al tesoro del libro perduto e poi miracolosamente trovato, che aggiunge mistero, curiosità ed eccitazione all’ avventura fisica e per alcuni irrinunciabile della carta.
Non sono certo casuali, alcuni titoli e testi sviscerati da Mughini, per farci catapultare nel vortice di quella storia recente italiana, senza dogmi, scorciatoie o ipocrisie, in prima linea, quei 32 Quaderni che Antonio Gramsci scrisse in carcere tra il 1929 e il 1935, anno della sua morte. Per formazione ed esperienze, il pensiero di entrambi, non è mai fino in fondo allineato con quello del comunismo nazionale e internazionale, solidali nella convinzione che occorre sollevare il problema a livello culturale. Con questo tipo di progettualità Gramsci mostra di abbandonare la persuasione marxista secondo cui per cambiare la storia occorre operare sull’ economia, individuando come Mughini nella cultura, l’elemento essenziale per creare un terreno comune, senza il quale nessun consenso è possibile.
E non é neppure un caso, che molti dei protagonisti prediletti da Mughini siano dei non eroi, come il giovane triestino di Una vita di Italo Svevo, sempre più attuale nella sua autenticità psicologica, nella fragilità dimostrata e nell’ inadeguatezza dello stare al mondo, lo stesso dualismo tra illusione e libertà di Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello. In questo libro, non poteva quindi mancare un capolavoro come Gli indifferenti di Alberto Moravia, romanzo italiano moderno, allineato da Mughini a Proust, Kafka, Joyce, trattando dell’indifferenza morale della borghesia, la classe portante del Novecento.
Chi più di Giorgio Scebernenco, con Venere privata, riesce, anticipando il furore del genere noir poliziesco, a trasmetterci e farci rivivere l’atmosfera della Milano nebbiosa e vibrante degli anni sessanta? Con allora, una rubrica fissa sul settimanale femminile Novella, rimane ancora oggi un autore trasversale, adorato da un pubblico senza limiti anagrafici, culturali o di sesso.
Ormai è risaputa e confermata la passione del collezionista Mughini per l’arte, senza distinzione tra fotografia, architettura, grafica e design e nessun svilimento o snobismo rispetto alla pittura, alla scultura o all’installazione, come dimostra il citato Numero unico futurista Campari del 1931, di Fortunato Depero. Ed é proprio a un poeta del calibro e del coraggio di Emilio Villa, il “clandestino”, che Mughini affida il compito di ricordarci e onorare il linguaggio e la poetica di quel genio di Burri, nella prefazione in un catalogo della mostra alla Fondazione Origine di Roma, nell’aprile 1953. La stessa meravigliosa capacità d’intercettare il linguaggio della pittura e della scultura di Ugo Mulas, non solo degli artisti che gravitavano al Jamaica, come Manzoni, Fontana, Consagra e Balestrini ma anche della Parigi di Man Ray e della New York di Rauschenberg e Jasper Johns, compresa la Factory di Andy Warhol, fotografati senza sapere una parola d’inglese, nei loro studi e nelle loro case in New York: The New Art Scene.
Nell’era del sesso asettico e virtuale, Mughini oppone con grande serietá, allegra provocazione e leggera ironia, la sublime lettura erotica francese come J’aime le Strip-Tease o di un classico semiclandestino negli anni sessanta, come Emmanuelle, senza tralasciare le gambe di Dino Buzzati realizzate al torchio di Giorgio Upiglio, 11 acquaforti per Le gambe di Saint Germain di Osvaldo Patani, fino ai fumetti di Paolo Eleuteri Serpieri, acclamato come Bruno Munari e Ettore Sottsass, prima in Francia che in Italia, per la saga della Mandragora, dove la conturbante Druuna, per lui, è il simbolo visivo della Donna Assoluta.
Questa capacità di Mughini di nominare l’assente, fa di ogni parola scritta, letta e conservata, un rinvio alla totalità, un’apertura, che Nietzsche, definiva il “vento del disgelo”; la questione è fino a che punto il linguaggio, favorisca la vita, nella convinzione che, senza un misurare la realtá sul mondo imventato, l’uomo non può vivere.
Senza nostalgia e con attenzione, sembra che uno dei compiti di questo libro, sia di cogliere quanto va scomparendo più di quanto è sul punto di apparire. Dimenticatissimo, lo scultore Alberto Martini, ma lo si può ritrovare, in Carezze, Otto litografie. Questo poemetto erotico, l’ha pubblicato in una nuova edizione nel 2001, lo studioso Marco Lorandi. Un salvataggio e recupero di questo genere, perchē è cosí raro nell’Italia di oggi?
Perchè è come se la memoria avesse ceduto il passo. Tutti vivono il presente spasmodicamente. Se nella conversazione con amici anche cari tocchi temi lontani nel tempo, gli lo leggi negli occhi che non gli interessa mica tanto. Viviamo in un’epoca in cui funzionano almeno 600 canali televisivi, non so quante centinaia di radio, non so quante migliaia di blog, non so quanti milioni di utenti che su Instagram si affannano a postare foto del proprio ombelico. Viviamo “un narcisismo di massa” che è l’opposto esatto del cercare, del curiosare, dell’appasionarsi e dunque di scovare autori formidabili e purtroppo dimenticati come Alberto Martini.
Una volta, il vero amante di libri, voleva avere a tutti i costi un ex libris disegnato da un suo artista preferito. Il maggior artista europeo del Novecento, del genere dell’ex libris erotico, è stato Michel Fingesten, che impera in questa biblioteca ideale. Ci sono sicuramente molti eredi dei grandi collezionisti di ex libris, come Gianni Mantero, che sarebbero disposti a tirare fuori dalle cantine e dagli scatoloni questi magnifici piccoli esemplari, per farli tornare in circolazione. Come far ripartire tutto questo?
Il mondo degli ex libris è un mondo affascinantissimo. Non c’era gentiluomo di un tempo che non si facesse disegnare il proprio ex libris da un artista amato. Michel Fingsten, che nei secondi anni trenta è diventato un italiano di adozione, è il picas degli ex libris novecenteschi. In Italia esiste la collezione forse la maggiore al mondo di ex libris, quella creata dall’industriale comasco Gianni Mantero. È un delitto che quella collezione, non sia l’oggetto di una grande mostra in qualche Museo o galleria italiani.
Rari libri, nascono e si addensano senza fine, in una memoria collettiva, come il caso di I ragazzi del ’77. Una storia condivisa su Facebook. L’artefice di questo volume, Enrico Scuro, aveva ritrovato una grande quantità di foto da lui scattate nella Bologna del 1977. Una volta, postata la prima foto su Facebook, a quel punto, i protagonisti ritratti, hanno fatto lo stesso e le immagini disponibili erano diventate 3200, dando vita a questo libro. Oggi c’è un ritorno a quegli anni, ma in modo superficiale, spettacolare. Attraverso la letteratura si può dare ancora un valore etico oltre che antropologico alla storia?
Il libro sul Sessantssette bolognese che lei cita è un esempio magnifico di come il web possa fungere da miniera della nostra memoria. Speriamo che di questi esempi ne vengano fuori altri. Tutte le strade sono buone se portano ad arricchire la conoscenza e ad avvicinarci alla verità profonda di un’epoca.
In queste pagine, si festeggiano I prelibri di Bruno Munari, con niente scritto dentro, per bambini e non, che riassumono, delle caratteristiche e delle regole che ritroviamo anche nei grandi poeti visuali come Ugo Carrega: l’aspetto tattile, l’importanza del supporto, l’ardore della carta. Lui, rimane il più grande design e inventore di sempre. Come mai, assistiamo ad un calo immaginifico in questo campo?
Possiamo stare delle ore o forse giorni a dire l’importanza di un genio come Bruno Munari o di un artista come Ugo Carrega. Tra parentesi, Munari è forse più conosciuto e idolatrato in Giappone di quanto lo sia in Italia.
Il vuoto storico è un vuoto assoluto, perchè non si dà umanità senza storia. I diabolici fratelli Tonini, grandi collezionisti e mercanti di libri d’artista, documenti, ciclostili e cataloghi preziosi come opere d’arte, sono costretti, come loro stessi ammettono, ad accantonare l’adorato Futurismo per concentrarsi sugli anni 70’, perché, chi ha meno di quarant’anni, sovente non sa neppure chi è Marinetti! Come è possibile questa mancanza di memoria e consapevolezza?
Mi auguro che i nostri carissimi e diabolici Tonini, due maestri dell’antiquariato librario italiano, non siano troppo pessimisti nel reputare i futuristi non più all’apice del desiderio collezionistico degli italiani. E comunque loro sono sono brevissimi nell’esplorare sempre nuove strade e nuove esche. I loro cataloghi sono una specie di Enciclopedia Treccani del moderno.
Questa illustrazione costante della felicitá e della tragedia a portata di mano e in diretta televisiva o sugli schermi del computer e del cellulare, ridisegna la trama delle illusioni, in un cortocircuito tra il desiderio e la sua soddisfazione. Cosa pensa, chi come lei, è diventato anche un personaggio televisivo ma scrive un libro come questo, dove inneggia all’insostituibile e venerata carta?
Io non sono affatto un personaggio televisivo. Sono uno la cui vita è stata avvolta dai libri e modellata dai libri.
Progetti futuri? Ci sará un’ulteriore evoluzione nella percezione? La storie nei libri, con la loro tensione ideale, generano più lacerazioni o convivenze?
Credo che il Fort Alamo presiedato da chi ama e legge i libri di carta non sarà mai conquistato dalle armate del digitale.
Semmai è vero il contrario. Non dimentichi che l’uomo più ricco al mondo, il fondatore di Amazon, lo è diventato vendendo libri sul web.