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Cry Macho – Ritorno a Casa

16 Dicembre 2021
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di Ludovico Riviera

L’ennesima prova di Clint Eastwood, oramai collaudato regista – almeno tanto quanto fu (ed è tuttora) collaudato attore – è ciò che ci si può aspettare da una leggenda vegliarda del cinema, la cui fama si è imposta dando volto ai personaggi e alle storie dell’America mitica, quella dell’integerrimo eroe, burbero (talvolta violento), spesso pistolero, ma infuso di qualità positive messe al servizio del sogno della frontiera. Sono le caratteristiche rinvenibili in pressoché qualunque personaggio interpretato dal maestro (basterà menzionare l’Uomo senza nome della Trilogia del Dollaro di Sergio Leone, e l’Ispettore Callaghan, il Dirty Harry dell’omonima serie poliziesca) e onnipresenti anche nei film da lui diretti (di cui ricordiamo i capolavori, ineguagliati, Million Dollar Baby del 2004 e Gran Torino del 2008).

Cry Macho – Ritorno a Casa è la naturale prosecuzione di questo filone caratterista che contraddistingue l’arte di Eastwood, sempre attento a concetti classici come crescita e redenzione: come in Gran Torino, abbiamo una storia basata sul rapporto intergenerazionale (e interculturale) tra Clint (che interpreta Mike Milo, un ex campione di rodeo) in missione per recuperare, oltre il confine del Messico, Rafo (Eduardo Minett), il figlio del suo datore di lavoro reo di vivere con una madre malavitosa ed egli stesso propenso ad aprirsi la propria strada nei traffici centroamericani.
Viene quindi localizzato e riportato in Texas – la metaforica terra della redenzione dell’uomo onorevole – da Milo. Non occorre dire che il viaggio sarà l’occasione di avvicinamento tra due persone agli antipodi, per età e concezione del mondo, della vita: estremi però riuniti dalla bontà di una tradizione umana e disciplina che il vecchio cowboy impartisce al giovane compagno. E che, naturalmente, li aiuterà nelle peripezie cui andranno incontro.

Eastwood continua l’opera di salvezza della buona vecchia cultura statunitense, tentando per di più di aggiornare l’immagine stereotipica dell’eroe corrucciato in quella di un saggio capace di autocritica, in questo caso, proprio quella espressa dal titolo: Cry Macho, evidente sottolineatura delle storture presenti nell’idea di mascolinità così congeniale alla mitologia occidentale, che non permetterebbe l’aperta manifestazione di fragilità e insicurezze. Il concetto viene rimarcato da diverse battute nel film, nel quale Eastwood, dall’alto della sua sofferente esperienza (Mike Milo è sopravvissuto all’alcolismo, e ai problemi ‘tipici’ del virile e solitario uomo americano) istruisce Rafo sulla mal riposta speranza in una simile caratteristica umana, da qualche tempo sotto processo mediatico e intellettuale, non più considerabile ‘qualità’ in senso stretto. Come in Gran Torino, lo scambio migliorerà entrambi: il giovane sarà meglio indirizzato verso un roseo futuro, mentre il vecchio potrà estinguere il proprio debito con l’esistenza, prima di ritirarsi a miglior vita.

Cry Macho è un western piacevole, ma nulla più: prevedibile nei suoi svolgimenti, come la strada percorsa dai due protagonisti, e dotato di una serie di personaggi comprimari che confermano la sostanziale assenza di sorprese, in questo film che si inserisce nel solco tracciato dai suoi valenti predecessori più per inerzia che per effettiva efficacia cinematografica.
La regia è di qualità come al solito: Eastwood sa stare quasi meglio dietro la macchina da presa che davanti ad essa, ma nemmeno un maestro può far tanto se la sceneggiatura (scritta a 4 mani con Nick Schenk e N. Richard Nash, quest’ultimo autore del racconto da cui è tratta) non regge il colpo. Se in Million Dollar Baby, Mystic River, Gran Torino, ma anche in American Sniper, Eastwood è stato capace di offrire uno spaccato classico – non banale, non del tutto stereotipato – degli US e della loro storia, mettendone in luce veritiera alcune effettive criticità, l’operazione non riesce in questa ultima prova del regista.

Gli (e ci) auguriamo che questo non sia l’ultimo suo film, ma che, in un destino simile a quello dei suoi personaggi, Eastwood saprà consegnare al mondo l’opus definitivo della sua opera: un canto del cigno che si spera potrà concludere in bellezza una leggendaria carriera.

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