di Carlo Schiavoni
LA FANCIULLA DEL WEST
Quattordici anni prima del battesimo scaligero de “La cena delle beffe”, Arturo Toscanini diresse al Metropolitan ( il Met, così lo chiamano oggi gli amici della musica) la prima de “La fanciulla del west”di Giacomo Puccini. In quell’occasione, Toscanini espunse 124 battute, sparse nel corso dell’opera, che non furono mai più eseguite. Il Maestro Riccardo Chailly, in occasione del nuovo allestimento alla Scala, ha voluto riportare alla luce la partitura originale, quale la concepì Giacomo Puccini. Ma come spesso accade in teatro, gli imprevisti sono in agguato. Così Eva Maria Westroebock, che avrebbe dovuto sostenere il ruolo di protagonista nel presente allestimento e che ha studiato la parte originale con il Maestro Riccardo Chailly, è stata colpita da improvvisa tracheite. Eva è oggi tra le massime interpreti wagneriane come ha dimostrato nel recente “Tristan und Isolde”, sotto la bacchetta di Simon Rattle, a Baden- Baden e a Berlino. Sarebbe stata una vera curiosità sentirla al di fuori del proprio repertorio d’adozione. Ma tant’è. Al suo posto viene chiamata Barbara Haveman. Si rivela una Minnie dignitosa, nonostante le difficoltà ad affrontare le zone più acute del ruolo e la non impeccabile dizione italiana. Non può altresì sostenere la parte di Minnie così come la concepì Puccini. E dunque l’esecuzione completa delle battute tagliate da Toscanini è rimandata alle repliche. Ma la prima ha rivelato un protagonista inaspettato: il maestro suggeritore. Non solo consente a Barbara Haveman di arrivare al termine della recita, ma si fa ammirare dall’intero pubblico in ogni ordine di posti, dalla platea alle gallerie, per il chiaro e stentoreo sostegno alla nuova protagonista. Riccardo Chailly restituisce all’orchestrazione de “ La fanciulla”, ammirata da compositori, come Maurice Ravel e Anton Webern, ciò che le spetta: protagonista assoluta. La concertazione del Maestro è altresì curatissima. Omogenea è la compagnia di canto negli altri ruoli principali, affidati a Roberto Aronica, nei panni del bandito gentiluomo, Dick Johnson e a Claudio Sgura, Jack Rance di imponente presenza scenica. Ideale per la regia di stampo cinematografico di Robert Carsen. L’allestimento è un omaggio all’epopea del film western: ispirato non solo ai film in cinemascope, ma a classici quali “My Darling Clementine” di John Ford con Henry Fonda o come “The Wind” di Victor Sjostrom. Ai poveri minatori, abbandonati da Minnie, non resterà, nel finale, che entrare in un cinema, dove si proietta “The girl of the golden west”. Vero colpo di teatro di un maestro quale Robert Carsen.
“La fanciulla del west” di Giacomo Puccini; Teatro alla Scala di Milano, dal 3 al 28 maggio 2016; direttore: Riccardo Chailly; maestro del coro: Bruno Casoni; regia di: Robert Carsen; scene di: Robert Carsen e Luis Carvalho; costumi di: Petra Reinhardt; luci di: Robert Carsen e Peter van Praet; interpreti principali: Minnie: Barbara Haveman; Jack Rance: Claudio Sgura; Dick Johnson alias Ramirez: Roberto Aronica; Nick: Carlo Bosi; Ashby: Gabriele Sagona; Sonora: Alessandro Luongo e altri.
- La fanciulla del west – Il primo atto si svolge all’interno della “Polka”, bar dei minatori. Al centro, il baritono Claudio Sgura- Jack Rance- attorniato dal coro del Teatro alla Scala” (fotografia di Marco Brescia e Rudy Amisano- crediti fotografici@Teatro alla Scala)
- La fanciulla del west – L’allestimento di Robert Carsen ha una forte impronta cinematografica. La fotografia ci rimanda ai film in cinemascope. Ma il regista ha trovato ispirazione anche nei film western classici ed espressionisti “(fotografia di Marco Brescia e Rudy Amisano- crediti fotografici@Teatro alla Scala)
IL CAVALIERE DELLA ROSA
“Wie du warst! Wie du bist! Das weiss niemand, das ahnt keiner” ( Come sei stata! E come sei! Nessuno lo sa né lo immagina alcuno). Quelle battute iniziali, complice la poesia di Hugo von Hoffmannsthal e la sublime musica di Richard Strauss, sono impresse in modo indissolubile nella mente di ciascun amico della musica. E’ l’allestimento del Festival di Salisburgo, firmato dal regista Harry Kupfer e dallo scenografo Hans Schavernoch, a segnare il felice ritorno di “Der Rosenkavalier”- “Il cavaliere della rosa” (Prima rappresentazione: Dresda, 26 gennaio 1911) alla Scala. Ritroviamo sul podio un ispirato Zubin Mehta. Il Maestro indiano nulla concede a quanto di sdolcinato vi possa essere nella malinconia dello scorrere del tempo di cui “ Il cavaliere” si fa portavoce. Cartina di tornasole è stata, in questo senso, l’interpretazione dei “ Vier letze Lieder” che Mehta diresse, con la Filarmonica della Scala, a metà maggio, solista la medesima Krassimira Stoyanova, “Marescialla” nella presente edizione del “Rosenkavalier”. I musicisti Scaligeri si rivelano uno strumento duttile nelle mani di Zubin Mehta, tanto da dimostrare una sorprendente familiarità con il repertorio tedesco e un ragguardevole tasso tecnico. Harry Kupfer trasporta l’azione dalla Vienna di Maria Teresa alla Vienna di inizio ‘900, nei medesimi anni in cui il “Rosenkavalier” fu composto. E’ proprio Vienna, protagonista dell’allestimento di Harry Kupfer; una Vienna vagheggiata e carica di nostalgia, che per Strauss e Hofmannsthal è depositaria di una civiltà ideale. Harry Kupfer e Hans Schavernoch immergono lo spettatore nelle vedute del Graben e della Hofburg; negli interni alto borghesi degli edifici lungo il Ring, per concludere il terzo atto nella malinconia autunnale del parco di Schoenbrunn. Protagonista, nelle vesti del barone Ochs, è Gunther Groissbock. Egli non è solo uno dei migliori “bassi” di oggi, ma si può dire sia il barone Ochs per eccellenza. Alle doti vocali accompagna una capacità di studio e di introspezione dei personaggi oggi rara. Basti dire che del barone Ochs, restituisce financo gli accenti austro -bavaresi, sottesi nel testo di Hofmannstahl, che contribuiscono a renderlo intraducibile. In scena, il nostro si dimostra un Ochs , finalmente, di giovanile baldanza. Accanto a lui, Krassimira Stoyanova disegna una Marescialla di sofferto lirismo, sorretta da una linea di canto adamantina. Sophie Koch deve gran parte delle proprie fortune artistiche al ruolo di Octavian, il giovane cavaliere che dà il titolo all’opera. Quanto esse siano meritate, lo dimostra una volta di più sul palcoscenico della Scala. Christiane Karg interpreta una trepidante e scenicamente deliziosa Sophie, trasmettendo al pubblico “l’ingenua felicità” del proprio personaggio. Ci è difficile, nella moltitudine, di personaggi che affollano il “Cavaliere” , citare tutti i protagonisti. Ricorderemo almeno il cantore italiano di svettante timbro eroico, cantato da Benjamin Bernheim; la coppia di intriganti latini, Annina e Valzacchi, di Kresimir Spicer e Janina Baechle.
“Der Rosenkavalier” di Richard Strauss; Teatro alla Scala di Milano, dal 4 giugno al 2 luglio 2016; direttore: Zubin Mehta; maestro del coro: Bruno Casoni; regia di Harry Kupfer; scene di Hans Schavernoch; costumi di Yan Tax; luci di Juergen Hoffmann; interpreti principali: la Marescialla: Krassimira Stoyanava; il barone Ochs: Guenther Groissbock; Octavian: Sophie Koch; Sophie: Christiane Karg e altri.
- Der Rosenkavalier – Sullo sfondo della Vienna imperiale, ricreata da Hans Schavernoch, il barone Ochs ( al centro, Guenter Groissbock) irrompe nella stanza della Marescialla ( a sinistra, Krassimira Stoyanova) (crediti fotografici: Teatro alla Scala)
- Der Rosenkavalier – Octavian ( impersonato da Sophie Koch), il Cavaliere della rosa del titolo, porge la rosa d’argento alla promessa sposa del barone Ochs, Sophie ( interpretata da Christiane Karg). (crediti fotografici: Teatro alla Scala)