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Favolacce

11 Giugno 2020
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di Marta Dore

Periferia di Roma, che potrebbe però essere la periferia di qualsiasi grande città italiana, europea, americana. Una periferia non socialmente degradata, dove famiglie della piccola media borghesia vivono fianco a fianco dentro a villette a schiera tutte uguali, con il giardino e l’automobile parcheggiata davanti al cancello. Le famiglie sono composte da coppie di trenta, quarant’anni con figli in età fine elementari-inizio medie, che frequentano la stessa scuola. Questo è lo scenario di Favolacce, secondo film dei fratelli D’Innocenzo, registi romani che hanno vinto con questo lavoro l’Orso d’Argento per la sceneggiatura all’ultimo Festival di Berlino.

Max-Malatesta

La vicenda di Favolacce è raccontata dal punto di vista dei ragazzini, che guardano e cercano di decifrare i genitori, in quanto modelli di comportamento e di valori come è normale che sia. Solo che questi genitori, che pure riversano sui figli pretese di bellezza e prestazione, vivono dentro un vuoto culturale e sentimentale che ghiaccia ogni relazione. Incapaci di dialogo e di ascolto, schiacciati da piccole invidie reciproche, delusi da se stessi senza confessarselo, non fanno che creare smarrimento nei ragazzini. I padri sono immersi dentro un machismo volgare e velleitario, le madri sono figure sostanzialmente irrilevanti e nelle loro relazioni sociali, di coppia e con i figli, cova per tutto il film una violenza che non esplode (quasi) mai e che tiene sulle spine lo spettatore fino allo sconvolgente finale.

Il tono livido del racconto oscilla tra realismo e straniamento in perfetta coerenza con il titolo del film. Lo straniamento deriva in parte dai visi degli attori scelti, a cominciare da quelli dei ragazzini, che sembrano elfi dei boschi o gnomi o fatine, in parte dalla sapiente, lucida, calcolatissima regia, che rappresenta davvero qualcosa di nuovissimo nel panorama italiano.

una scena del film

Merito di Fabio e Damiano D’Innocenzo è anche l’essere riusciti a rappresentare con crudezza e senza sconti l’ignoranza, che è prima di tutto morale ed esistenziale, di una fascia sempre più estesa della nostra società e che spiega tante cose anche della nostra politica.

Ci troviamo sofferenti a guardare nello schermo un mondo adulto incapace di essere tale, che abdica alle proprie responsabilità educative perché non sa nemmeno intuirle. La scena più potente del film ha al centro un Elio Germano, attore bravissimo che qui si fa gigante. Non raccontiamo che cosa succede per evitare lo spoiler, basti sapere che è la perfetta, straziante rappresentazione di un padre incapace di essere tale perfino di fronte alla tragedia.

Germano e Malatesta in una scena del film

Quello dei fratelli D’Innocenzo è un atto di accusa, e fa pensare il fatto che sia stato girato nello stesso periodo in cui è stato girato l’altro film che è possibile vedere in questi giorni in streaming, I Miserabili, Premio della giuria al Festival di Cannes: anche qui sotto accusa sono gli adulti di oggi, non più capaci di trasmettere valori ai propri figli. Il film francese si chiude con una citazione di Victor Hugo: “Non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”. Una frase che potrebbe chiudere anche Favolacce, film non facile da seguire, che costringe lo spettatore a soffrire tutto il tempo e sempre di più. Resta una domanda alla fine di entrambi i film: a chi va data la responsabilità di aver formato cattivi coltivatori? Quando e come è avvenuta questa frattura della catena educativa?

Ileana D’Ambra interpreta Vilma

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