di Marta Dore
In una recente intervista, il regista Gabriele Muccino ha detto di essere un uomo spavaldo.
Lo è stato almeno in tre occasioni: quando ha deciso di voler fare questo difficile mestiere; quando è andato a lavorare in Usa promettendo ai produttori della Columbia Pictures due Oscar per The pursuit of Happiness – il film che girerà con Will Smith (di Oscar poi ne sfiorò uno, ma fu comunque campione di incassi); quando si è messo contro Al Pacino fino a fare saltare il film a cui stavano lavorando per una differenza di vedute sull’attrice da coinvolgere come co-protagonista (Pacino voleva Penelope Cruz, Muccino Rosario Dawson).
Ecco, il regista romano si dimostra spavaldo anche in occasione del suo ultimo lavoro, Fino alla Fine, uscito in sala il 31 ottobre. È la prima volta, infatti, che Muccino si misura con un genere nuovo, sfidante, che potremmo definire un thriller/crime.
Sia chiaro, restano al centro anche di questa storia relazioni sentimentali e passionali, ma nella trama entra una componente da avventura criminale che dà un sapore del tutto nuovo all’ultimo lavoro del regista.
Protagonista del film è Sophie, una ventenne americana in visita in Italia con la sorellastra maggiore. Si capisce presto che Sophie sta attraversando un periodo di crisi e di forte malessere e che sua sorella ha organizzato il viaggio per distrarla a furia di visite di chiese e musei. Non la strategia migliore…
Il film inizia con le due ragazze che arrivano a Palermo per l’ultima tappa di questo Grand Tour contemporaneo: si fermeranno nella città siciliana per 24 ore. Saranno 24 ore che sconvolgeranno la vita di Sophie, che decide di unirsi a un gruppo di ragazzi palermitani conosciuti in mare, spinta all’inizio dal colpo di fulmine per uno di loro, Giulio, ma travolta poi dal suo stesso incontrollabile desiderio di uscire dalle regole, di mangiarsi la vita fino in fondo. I ragazzi, infatti, non sono esattamente dei bravi ragazzi e lei si troverà coinvolta (e molto a suo agio) in un’azione criminale.
Il ritmo forsennato di un film così ben si addice alle capacità tecniche di un regista come Muccino: sapienti piani sequenza incollano spettatori e spettatrici ai diversi inseguimenti. Il ritmo forsennato della vicenda si addice anche al carattere di Muccino, che ama fare esplodere le emozioni: i personaggi non piangono, si disperano; non ridono, si scatenano; non parlano, urlano. Spavaldi anche loro, soprattutto Sophie che, da giovane americana con il broncio, diventerà in poche ore la boss della banda.
Spavalda infine la scelta degli interpreti, a cominciare dell’attrice protagonista (Elena Kampouris): tutti volti sconosciuti o quasi, che però se la cavano bene, reggono il ritmo e anche una cinepresa spesso incollata addosso. Fino alla fine.