di Marta Dore
Frances ha 27 anni (“a 27 anni sei vecchia“, le dice la ventenne carina, ennesima conquista del suo roommate).
È di Sacramento ma vive a New York: prima in un appartamento in condivisione con Sophie, la sua migliore amica, poi con due ragazzi bohémien, poi in un dormitorio studentesco dove fa la cameriera.
Frances è bella, di una bellezza naturale, senza scorciatoie, ma è alta, ingombrante e goffa in modo adorabile (“io non sono disordinata, ho avuto molto da fare“). Vuole diventare una famosa ballerina moderna, ma per il momento fa la tirocinante in un corpo di ballo, in attesa di essere coinvolta sul serio.
Frances aveva un fidanzato che desiderava vivere con lei, ma lei sa che cosa è l’amore (“qualcosa che nessun altro può capire, un po’ come quando ti dicono che esistono altre dimensioni intorno a noi, ma noi non siamo in grado di percepirle. È questo che voglio da una relazione. O semplicemente la vita, immagino”).
Frances, interpretata da un’irresistibile Greta Gerwig, attrice e sceneggiatrice, è la protagonista di un film uscito negli Stati Uniti nel 2013, arrivato in Italia nel 2014, ma passato quasi inosservato ai più, nonostante sia un vero gioiellino. Girato in un bianco e nero che ricorda Manhattan di Woody Allen, Frances Ha è scritto dal regista Noah Baumbach insieme alla stessa Gerwig con grande intelligenza, ironia e sensibilità. Il film racconta di quell’età difficile in cui dovresti passare dalla giovinezza all’età adulta, di quel momento in cui vedi se i tuoi sogni hanno la possibilità di realizzarsi, dove inizi a sentire la pressione di una deadline che si avvicina rispetto a quello che sei e a quello che pensavi di voler diventare.
«Frances sembra una bambina perché si sente impotente di fronte alle forze che dominano la sua vita e invece di rispondere come un’adulta razionale si comporta quasi come una matta», ha raccontato la Gerwig in un’intervista. Presente in ogni inquadratura del film, Frances ci conquista per questo suo essere sempre un po’ fuori posto in un mondo dove tutto appare (quasi) perfetto: a una cena con amici di amici, intellettuali e artisti dall’aria sicura e arrivata; durante una corsa sfrenata e goffa nelle vie di Brooklyn con Modern Love di David Bowie a sostenerne l’allegria; in un disastroso week end a Parigi, vissuto all’incontrario a causa di un jet lag mal dominato; al college dove torna per lavorare e si trova circondata da ragazzini davvero più giovani di lei.
Frances non può e non riesce a indossare le maschere che altri hanno scelto di portare, salvo crollare dopo qualche bicchiere di troppo. È come se non riuscisse a rinunciare a quelle parti di lei che sono la sua identità,
ma che dovrebbe ab bandonare per poter andare avanti. Eppure, dopo tanto vagare, riesce forse a trovare un compromesso ironico e dolcissimo, che non la costringe ad abdicare a se stessa. «A me piacciono le cose che sembrano errori», dice a un certo punto. Ed è proprio questo il senso del film, il segreto che ci viene suggerito: l’importanza di accettare le proprie sbavature, goffaggini, fragilità, di accettarle o addirittura di amarle, per non perdere mai del tutto la nostra più intima verità.