di Arianna Di Perna
Il matrimonio di Rosa (La boda de Rosa) di Icíar Bollaín è un inno alla libertà di amare se stessi. Il film vede Rosa (Candela Peña), la protagonista, in una vita non sua, troppo abituata a mettere sempre i bisogni degli altri prima dei suoi. La sua vita è fuori controllo: un padre vedovo (Ramón Barea) di cui si deve occupare, un fidanzato (Xavo Giménez) che è tutto tranne che un compagno di vita e una figlia (Paula Usero) ribelle con figli al seguito.
Così Rosa decide di dare uno scossone alla propria vita e sposarsi con sé stessa. Senza rivelare a nessuno le proprie intenzioni, Rosa convoca i fratelli e la figlia a Benicasim, il paese di origine della madre, dove vuole riaprire la sartoria di famiglia, come testimoni del suo “matrimonio”. Niente, però, andrà come previsto.
La commedia di Icíar Bollaìn affronta il tema dell’accettazione di sé stessi, un ritrovarsi per amarsi.
Rosa è il punto di riferimento di una famiglia che per troppo tempo l’ha data per scontata, così metterà sé stessa prima di tutto dando una svolta epocale alla sua vita. La regista sfrutta la nuova svolta del volersi bene così come siamo riversandolo nel matrimonio, ricalcando gli stilemi odierni che fanno di questo evento il trend del momento: si interpreta questo pensiero senza dare un taglio forzato alla storia che anzi viene raccontata in maniera organica e soprattutto spontanea, derivante cioè da un bisogno concreto e attuale, quello del rispetto di se stessi.
Un sapore dolce-amaro a qualcosa che non ci appartiene più, la libertà di scegliersi ogni momento e scegliere ciò che è più giusto per noi senza sentirsi giudicati e fuori luogo. La commedia spagnola porta sullo schermo Rosa che rappresenta tutte le donne: dalle figlie, ragazze giovani che non ricercano o non sono ancora pronte per l’amore, quelle alla costante ricerca di una stabilità più economica che sentimentale passando poi alle madri, alle mogli, a quelle che lavorano a quelle che non lo fanno, tutte accumunate dal sacrificio, dal fare tutto per gli altri, ad essere sempre il faro nel buio più profondo delle vite altrui. Costantemente attive in una società che le vuole perfette e sempre disponibili, senza avere un po’ di tempo per pensare ai propri sogni e ai propri desideri.
Il “mono-matrimonio” è il suggellamento di un costante desiderio di rivalsa e un’ode alla vita per le donne che sono sempre e ancora, considerate il centro del focolare e presenza più o meno costante sul luogo di lavoro. Fanno un patto di fedeltà e di amore, concedendosi di avere dei sogni e delle aspirazioni, promettendosi di amarsi indipendentemente da tutto e tutti. Questa promessa con sé stessi potrebbe rivelarsi più egocentrica che atta a migliorare la propria vita, ma al personaggio serve per prendere coscienza di sé, a metterci nei suoi panni e invitarci ad apprezzare la sua scelta, rendendola anche un po’ nostra.
Un fenomeno internazionale come il matrimonio in solitaria propone la tragicità quotidiana di una vita costantemente spesa a servizio degli altri che neanche più si accorgono di quanto stanno ricevendo ritenendolo normale. Si indagando le emozioni e i rapporti famigliari, dove la comicità e l’ironia mascherano l’acidità della sceneggiatura che mette in scena lo sguardo sulle donne che ha la profondità di acquisire la consapevolezza della propria condizione esistenziale, senza finzioni e senza scappatoie perché solo amando sé stessi si può amare il prossimo.