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LA VISIONE INVISIBILE DI SOL LEWITT

9 Maggio 2016
5.604 Views
di Cristina Ruffoni

“Il linguaggio e’ un labirinto di cammini, voi venite da una parte e vi ci riconoscere; giungete allo stesso punto da un’altra direzione e non  riconoscete piu’ il vostro cammino”.

Wittgenstein

Alla galleria Cardi a Milano, e’ stata inaugurata una personale dell’artista americano Sol LeWitt, con una serie di sculture geometriche modulari, le sue strutture cubiche degli anni 60’, delle griglie tridimensionali (open frame), che vengono proposte in diverse varianti e alle pareti dei dipinti che riprendono lo stile dei wall drawing dell’artista concettuale.

Non si puo’ quindi non ricordare, il gallerista Franco Toselli, che oltre all’Arte Povera e alla Transavanguardia, dal 1967, porto’ a Milano gli esponenti internazionali, non solo americani dell’arte concettuale come John Baldessari, Mel Bochner, John Dibbets, Joseph Kosuth, On Kawara, insieme agli italiani Vincenzo Agnetti, Gino De Dominicis e naturalmente Sol LeWitt.

Oggi, in questo contesto,  si rischia pero’, di rimanere indifferenti, confusi o spiazzati nei confronti di queste opere,  che risultano decisamente   estranee, rispetto a un edulcorato, preconfezionato e algido modo di fare scultura che sconfina nell’estetica,  nel design, tendenza dilagante, omologante e  tipica degli anni  80’.

Ma chi e’ Sol LeWitt? L’artista concettuale, che insieme a Joseph Kossuth, Lawrence Weiner, Ian Wilson e Robert Barry, gia’ negli anni 60’, prende le distanze dai suoi colleghi, gli scultori Minimalisti, Robert Morris, Donald Judd, Dan Flavin, Carl Andre e Robert Smithson e anche dai pittori Frank Stella, Ellsworth Kelly e Kenneth Noland.

Sol LeWitt, riconduce la sua ricerca al Positivismo logico di Wittgenstein, il principio che stabilisce il criterio di verita’ non sulla base di un confronto o di una verifica esterni ma sulla coerenza interna del sistema linguistico. L’artista definisce percio’  le sue sculture, non piu’ come opere ma come proposizioni, paradossali e ambigui oggetti concreti e muti, che occupano uno spazio, spesso con un notevole ingombro, ma che risultano anche eterei, quasi trasparenti, adirittura anonimi, per mettere in moto un’analisi ritenuta urgente e non piu’ eludibile, un processo di astrazione e riflessione sulla natura stessa dell’arte, sul significato intrinseco del processo artistico.

Sol LeWitt (1928-2007), nasce a Hartford, capitale del Connecticut e indirizza i suoi studi e le sue ricerche al di fuori dell’ambito accademico, interessandosi a John Cage in musica e a Geltrude Stein in Letteratura.

Il momento di origine del Concettuale e’ identificato dai suoi teorici, nell’introduzione del rumore in musica e all’esaltazione del silenzio, gia’ sottolineati da Debussy, che si manifestano nell’opera di Cage, il cui titolo rinvia unicamente alla durata del brano, in momenti e secondi, la leggendaria 4’33”, la prima esecuzione del pianista David Tudor, il 29 Agosto 1952,  a Woodstock.

“Il suono non deve esprimere, deve essere, come la parola che e’ liberata  dalla memoria”.

Questo senso di spazio infinito che si dimentica del tempo, e’ un carattere tipico della cultura americana e in Sol LeWitt, l’improvvisazione e il caso hanno un ruolo determinante per mettere sotto assedio l’esistenza. E’ da tener presente, la sua prima delle Sentences on Conceptual art (Proposizioni sull’arte concettuale): “Gli artisti concettuali sono mistici piuttosto che razionalisti. Giungono rapidamente a conclusioni che la logica non puo’ raggiungere”.

La Stein ribadisce: “La scrittura era l’esercizio della mente che riflette su se stessa”, ricollegandosi a una precisa definizione che Sol LeWitt, fornisce del proprio lavoro e che nello stesso tempo indica l’aspetto centrale della ricerca concettuale: “faro’ riferimento al genere d’arte in cui sono coinvolto come arte concettuale. Nell’arte concettuale l’idea o concetto e’ l’aspetto importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale d’arte, vuol dire che tutte le programmazioni o decisioni sono stabilite in anticipo e l’esecuzione e’ una faccenda meccanica. L’idea diventa una macchina che crea l’arte”.

 

L’arte concettuale si e’ posta in modo esplicito e con chiarezza come progetto di conoscenza, per verificare gli aspetti della teoria e della finzione, gli ambiti della riflessione e quello dell’operativita’, della critica e della comunicazione.

E il contesto viene poi enfatizzato dagli artisti stessi e sono sottolineati gli stessi rituali dell’esibizione, basta pensare al “vuoto” di Yves Klein e alle opere di Buren che proseguono in strada, di Kapoor che invadono il paesaggio, fino  agli interventi di Land Art e alla coincidenza che John Cage, fosse allievo di Marcel Duchamp.

I moduli estremi di LeWitt, nello spostamento temporale attuale e nella nuova collocazione celebrativa,  perdono cosi’ la loro tensione e il loro rigore originario, rimane la tela dei dipinti dai bordi ambiguamente smangiati, che conserva la sua purezza e riesce a farci dimenticare cosi’ che il quadro e’ qualcosa, riassumendo il desiderio profondo di ogni avanguardia, sopprimere se stessa in quanto produttrice di oggetti, per liberarsi nella totalita’ del mondo.

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