di Noemi Stucchi
La storia di Esselunga
Se dicessi “John Lemon”, probabilmente vi verrebbe in mente l’immagine di un limone con gli occhiali. Ricordo l’invasione di frutta e verdura sui cartelloni affissi per le strade e in particolare la copertina di un mio vecchio quaderno per appunti. Sopra c’era un personaggio, Porro Seduto.
Stiamo parlando della campagna pubblicitaria di Esselunga della fine degli anni ’90.
Certe realtà sono entrate a far parte della nostra cultura, della quotidianità del nostro essere italiani, dando per scontato come dietro al successo ci sia il lavoro e l’impegno costante di molte persone. Ed è così che l’epilogo di una vicenda famigliare come quella dei Caprotti assume un sottotitolo importante: “Una storia italiana”.
Edito da Feltrinelli, in “Le ossa dei Caprotti” ascoltiamo la voce di Giuseppe Caprotti che trova le parole per raccontare e per raccontarsi.
Se è vero che tutti conoscono l’Esselunga, quello che viene svelato di pagina in pagina è un retroscena amaro. Al di là della narrativa e della stampa che è stata veicolata negli scorsi anni, in queste pagine Giuseppe Caprotti parla liberamente in veste di ormai ex Amministratore Delegato di Esselunga, nonché figlio di Bernardo Caprotti.
La famiglia Caprotti
Ripercorrendo le origini del mito, Giuseppe Caprotti parla di tutte quelle persone che fanno parte della famiglia Caprotti.
Una famiglia in senso allargato: nelle vicende personali che compongono il quadro della storia rientrano tutti quei volti amici che hanno frequentato la casa Caprotti, come nel caso di Andrea Solbiati il cui un dolce ricordo viene raccontato a pagina 90 di questo libro con una simpatica citazione: “Caprotti for President” .
Nella prima pagina troviamo un albero genealogico che aiuterà il lettore a tener traccia dei soggetti raccontati. Bernardo e Giuseppe sono nomi ricorrenti nella discendenza e lo stesso Giuseppe eredita il nome del padre di suo padre, quel nonno Giuseppe detto “Peppino”.
Giuseppe e Bernardo possono essere visti come i due pilastri dell’Esselunga, quei doppi numeri uno che hanno sorretto il peso di un’intera azienda. Uno spazio, forse, troppo stretto per due. Riferendosi a Bernardo:
«Non sopporta che ci sia un altro numero uno. Un giorno, siamo nel superstore di Via Ripamonti, a Milano, una cliente si avvicina e gli chiede chi è il capo. Lui risponde: “I numeri uno sono due”.» (p. 219)
La voce narrante farà luce sugli avvenimenti muovendosi tra fatti pubblici e privati senza nascondere i fatti scomodi: l’autobiografia si mescola a una vocazione per la Verità e l’amore per la Storia (non è un caso che Giuseppe sia Laureato in Storia Contemporanea alla Sorbona di Parigi).
Le ossa dei Caprotti: perché un titolo simile? Potremmo dire che la storia di un’azienda è sempre fatta da persone e dettata dal percorso tracciato dagli avi (ricordiamo la storia di un’imprenditoria nata dall’ex Manifattura Caprotti e come l’Esselunga sorga dal contributo dei soci fondatori di Supermarkets Italiani con il supporto di Nelson Rockefeller).
In più, Giuseppe Caprotti aggiunge delle macabre curiosità legate all’ossessione di Bernardo per i cimiteri e la conservazione delle salme, a partire dalla corretta potatura dei cipressi fino alla sepoltura delle sue stesse esequie. Un caso curioso: nelle foto che vengono riportate nel libro, troveremo il corpo del protomartire San Valerio, custodito nella sala d’archivio della casa perché «l’oratorio di fronte alla villa – dove si trova adesso – aveva grossi problemi di umidità.»
Tradizione e Innovazione
Per poter svolgere il suo incarico, l’autore racconta come sia stato obbligato ad essere sottoposto a perizia psichiatrica per avere l’approvazione del padre. Una perizia che il medico farà per suo conto anche allo stesso Bernardo e che verrà rivelata per la prima volta proprio in queste pagine.
Se Bernardo rappresenta la tradizione, Giuseppe ne è l’innovazione. I fatti raccontati dal figlio che contribuiscono al ritratto di Bernardo si legano all’ostilità incondizionata a tutto ciò che è nuovo per il ripristino della vecchia guardia.
Giuseppe Caprotti sarà costretto a lasciare l’incarico nel 2004. Si tratta di una vera “rappresaglia” del padre (una parola che viene così riportata) nei confronti del suo operato. Si parlerà di licenziamenti immotivati e di Mercedes nere, così come di pedinamenti, pneumatici forati e lettere di minaccia.
Sulle questioni politiche “Le ossa dei Caprotti” completa il quadro tracciato da Bernardo Caprotti mentre nelle vicende operative – prezzi etc. – lo contraddice, dati alla mano.
Con la morte di Bernardo avvenuta nel 2016 si parlerà di eredità ed estromissione a discapito dei figli Giuseppe e Violetta che hanno lavorato nell’azienda di famiglia per anni.
Ad oggi, ad avere le quote dell’Esselunga sono Giuliana e Marina, rispettivamente la seconda moglie e la figlia, finora rimaste lontane dalla gestione aziendale.
Una storia italiana
Facciamo un passo indietro. Quello che riguarda un po’ tutti viene raccontato nel capitolo “la battaglia per il rinnovamento”. Qui si parla del progetto di Giuseppe Caprotti nel momento in cui viene incaricato della gestione della parte commerciale dell’azienda. Tra i meriti riconosciuti nell’aumento delle vendite per aver adottato nuove strategie commerciali (imparate dall’esperienza lavorativa da Dominick’s a Chicago) riscontriamo le cose belle del lavoro di squadra e della libertà di parola nell’organizzazione aziendale. Così, a pagina 198 leggeremo frasi come queste:
«Come ho già raccontato, però, la mia regola è passare dall’io al noi».
La cosa che più mi ha fatto riflettere è un dato che viene raccontato nella pagina seguente. Siamo nei primi anni 2000 e
“Viene nominato il primo direttore di supermercato donna, in viale Jenner, a Milano”.
Leggo dell’assunzione di una Direttrice come sintomo di progresso e torna in mente quella citazione di Enzo Biagi scritta dall’autore sulla prima pagina del libro:
« Per uccidere un uomo non serve togliergli la vita,
basta togliergli il lavoro. »