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locandina italiana del film Madres Paralelas

Madres Paralelas di Pedro Almodóvar

di Silvia Simonetti

Pedro Almodóvar, l’instancabile creatore dell’universo femminile, l’irraggiungibile cineasta spagnolo vincitore di numerosi riconoscimenti filmici (tra cui il Leone d’Oro alla carriera, consegnato a Venezia nel 2019 in Sala Grande) questa volta ritorna nella stessa città italiana aprendo le porte dorate della 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica diretta da Alberto Barbera.
È Alberto Barbera a  far risaltare i suoi film, affermando come:

« I temi della trasgressione, del desiderio e dell’identità sono il terreno d’elezione dei suoi lavori, intrisi di corrosivo umorismo e ammantati di uno splendore visivo.
Senza dimenticare che Almodóvar eccelle soprattutto nel dipingere ritratti femminili incredibilmente originali, in virtù della rara empatia che gli consente di rappresentarne la forza, la ricchezza emotiva e le inevitabili debolezze con un’autenticità rara e toccante».

Le notevoli osservazioni evocano il suo ultimo film (prodotto da El deseo) con cui il regista incide un nuovo orizzonte perduto del sentimento materno: Madres paralelas, in concorso per il Leone d’oro 2021.
Due donne interamente diverse ma che entrambi vivono il tormento fallimentare del loro passato negato e disonorato, come nel caso della fotografa Janis (Penelope Cruz) rimasta incinta dall’incontro labile e passeggero con un antropologo forense.
La quarantenne Janis si trova in ospedale con un’altra partoriente di nome Ana (Milena Smit), una giovane ragazza che vive l’entropia indefinita della sua esistenza ma nell’egual modo.  Insieme daranno alla luce a un’altra vita, tra il dolore e l’ilarità.

Nel corso della trama si incomincia a intravedere una narrazione più sofisticata e allo stesso tempo che richiama l’esperienza umile dell’essere madri. Almodóvar ci fa ritornare indietro nelle sue
similitudini e trasparenze filmiche come in Tutto su mia madre, Volver o Juliet, in cui l’essenza del mistero materno è spesso tradotto in figure sofferte, ovvero riconosciamo donne che perdono i
loro figli o che li proteggono dalle violenze inesauribili del mondo esterno, madri che vivono con l’eterna colpa di non essere idonee al ruolo imposto dal sistema sociale.

Il regista spagnolo reclama un altro diritto d’amore, sapete qual è? La libertà di essere se stessi. Questo è quello che vogliono le madri dalla propria vita, anche se sapranno in cuor loro che il senso
del dovere è l’unico riscatto futuro, che va oltre al sacrificio di attingere alla forma femminile indipendente, senza pensieri e pesanti armature morali.
Sicuramente guardando i film di Pedro Almodóvar potremo sempre amarlo perché ogni volta, in modo gentile e radicale, restituisce la dignità di essere creature lunari, affascinanti e fugaci.
Talvolta maliziose e delicate, caste o erotiche, possiamo essere calamite attratte dal vuoto temporale ma con Pedro siamo sul nostro pianeta libero e unitario.
Sarà Penelope Cruz, la nostra portavoce femminile e attoriale, che svelerà in un’intervista:

« Pedro non mi ha mai lasciata sola, abbiamo parlato tantissimo, ci siamo dedicati per mesi alle prove e mi guarda le spalle. A dire il vero dice che sono una che sul set soffre troppo, ma è il prezzo da pagare se vuoi dar vita ad un personaggio con serietà e umiltà».

Nel paradiso cinematografico di Almodóvar, alla fine basterebbe sentire le fisarmoniche di Dino Saluzzi, la voce cantata di Chavela Vargas o le composizioni sonore di Alberto Iglesias, affinchè identifichiamo immediatamente la sfida più ardua, ovvero: saper amare le donne, senza dimenticarle.

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