di Ludovico Riviera
La Grande Arte al Cinema
Il mio Rembrandt è un evento Nexo Digital in collaborazione con Piece of Magic.
La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital. Per il 2022 la Grande Arte al Cinema è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.
Cinema e Arte
Film a tema artistico (nel senso: riguardanti le belle arti: quadri, artisti, eccetera), di qualunque genere essi siano, sono sempre molto difficili, per svariate ragioni. C’è un’incompatibilità di fondo, specialmente tra pittura e cinema, che impedisce alla prima di essere degno soggetto del secondo, che pure pesca a piene mani nell’educazione visiva prodotta in millenni di storia dell’arte.
Dal quadro al film
La maggior parte dei grandi cineasti vanta un profondo interesse per le arti visive ‘classiche’; ma l’incompatibilità di cui parlo riguarda proprio la pittura in quanto tale: essa, per essere esperita, non può transigere dall’essere osservata dal vero, in presenza. Niente della pittura può essere trasposto su uno schermo, se non una sua superficialissima immagine, privata di ogni altra informazione – Berenson avrebbe detto ‘tattile’ – percettiva che contribuisce a separarla dal resto dell’esistente: la pittura è, in questo senso, un mezzo comunicativo unico, dato che è in grado di incamerare nella sua pellicola quei caratteri di autentica unicità e irriproducibilità che prescindono l’autore, ma sono propri del mezzo espressivo in quanto tale. Un quadro dipinto a mano non può trasporsi in altri mezzi, senza perdere irrimediabilmente queste sue caratteristiche.
Il mito dell’artista
A ciò si aggiunge il fatto che, nel cinema, è sempre molto difficile narrare le vicende artistiche. Il cliché dell’artista tormentato non è altro da sé: un mito, basato su una sparuta minoranza di casi esistiti (certo, in aumento nella contemporaneità, ma pur sempre una minoranza), che per ragioni narrative è stato esteso un po’ a tutto il genere: per fare arte bisogna essere scapigliati, condurre una vita ai limiti della normalità e della dissolutezza.
il lavoro intellettuale dell’artista
Nonostante questa incomprensione di fondo, non si può certo affermare che la creazione delle opere sia affar semplice. L’arte è un linguaggio che, nella sua trasversalità, ha sempre deviato dalle convenzioni che l’avrebbero trattenuta nello status di artigianato. Il lavorio intellettuale dell’artista si è incessantemente rinnovato nel corso dei secoli, impedendo – specialmente dalla modernità in avanti – lo stabilirsi di vere e proprie regole canoniche. La tensione verso la libertà che gli artisti hanno sempre perseguito continua a produrre sempre nuovi modi di fare arte, tant’è che risulta molto difficile inquadrarne uno e metterlo a soggetto di un’opera cinematografica. Anche perché alla fine lo spettatore vede gente struggersi per disegnare qualcosa: trovo possa essere ostico trovare un soggetto del genere avvincente.
l’Arte sul grande schermo
In genere i film sugli artisti sono di maniera, stereotipati: difficilmente riescono a indagare a fondo la creazione delle opere. Spesso manco gli artisti viventi riescono a spiegarsi, figuriamoci se possiamo capire a fondo cosa pensasse uno morto da secoli. Abbiamo opere e testimonianze, ma non bastano: le opere sono finite, mentre le testimonianze spesso imprecise.
La verità è che il mistero della creazione artistica è, appunto, un mistero insondabile e, pertanto, irrappresentabile sul grande e piccolo schermo.
My Rembrandt: trama
Questo preambolo serve per spiegare che “My Rembrandt”, pur non riguardando l’artista direttamente – il film parla dell’attribuzione di un presunto Rembrandt e del suo piazzamento sul mercato – non fa eccezione nel deludere lo spettatore istruito, al quale poi dovrebbero essere rivolti film del genere: il docufilm segue le vicende di tale Jan Six, un art dealer che, ironia della sorte (ma tu guarda) vanta un antenato (toh, anch’egli mercante d’arte) che fu ritratto proprio da Rembrandt in persona.
Attribuzione dell’opera
Questo rampollo segue le orme degli avi, concentrandosi proprio sul più famoso pittore olandese, del quale trova e fa attribuire un inedito, precedentemente considerato di bottega. Seguono vari dialoghi tra restauratori, mercanti, storici, tutti che raccontano la loro versione sull’autore dell’opera, su come lavorava, su cosa comunicano i suoi dipinti; segue poi la diplomazia del mercato, dato che il quadro, di riscoperta e comprovata paternità, ha aumentato vertiginosamente il suo valore e il numero degli interessati ad esso.
Musei coinvolti
Oltre a Jan Six, il documentario segue altre vicende, che coinvolgono il Rijksmuseum e il Louvre, sempre riguardanti la cessione di alcuni dipinti provenienti da collezioni private, e la gara tra i due musei per l’acquisizione.
Il target: a chi è rivolto il film
Se per lo spettatore medio è sicuramente interessante dare uno sguardo dietro la cortina che cela lo smercio dell’arte, al pubblico più al corrente di ciò realmente avviene tra le sale di musei, gallerie, o di cosa si dicono i mercanti al telefono, potrà scappare qualche sbadiglio.
Dall’Arte al valore economico
“My Rembrandt” è un film che, in questo, risulta poco più che compilativo; i suoi pregi sono difatti quasi tutti indiretti: è un film che, non si capisce quanto volontariamente o meno, fa scadere quasi nel ridicolo i suoi protagonisti. Tutti sembrano incredibilmente appassionati d’arte, tutti sembra che difficilmente vivano senza, eppure l’intera storia alla fine si risolve con una transazione finanziaria, e un ricco che ha finalmente acquisito un altro cimelio da godersi, nel privato della sua magione; in alternativa, vediamo come seppur finendo nei musei, attorno alle opere si solleva un polverone di interessi che, alla fine, hanno ben poco a che vedere col valore culturale del manufatto, quanto con la fama che circonda il suo creatore, e il prestigio del suo nome.
Perdonatemi se non nutro enorme simpatia per l’ipocrisia insita in queste vicende.
Rembrandt artista. Un falso può valere come un originale?
Rembrandt fu un grandissimo pittore, nessuno lo mette in dubbio: ma proprio per questo motivo la sua fama spesso adombra l’effettiva discussione sull’opera, della quale non si ammira la fattura – altrimenti come si spiega un Rembrandt non riconosciuto da famose case d’asta? – o il contenuto, ma interessa solo chi l’ha fatta: è un originale, o è fatto da un allievo, o un artista imitatore? Quanto vale in questo, quello, o quel caso? Ciò che conta sono l’autenticità e la fama che ne deriva: questo è un atteggiamento che, alla lunga, risulta incredibilmente svilente per l’arte in sé, che non viene più considerata tale se non in funzione del suo esecutore.
Il Gossip, l’Arte, il Cinema
È famoso o sconosciuto? È vivo o morto? Troppo cinema a tema d’arte si ferma a queste fastidiose tematiche gossippare.
Perché se un quadro è bello, è bello sia che sia di Rembrandt, sia che sia di un suo discepolo.
Sarebbe bello anche se completamente falso, ma tant’è.
Rembrandt è Rembrandt.
Per gli appassionati dell’Arte, il film racconta un pezzo di Storia. Ecco le parola della regista Oeke Hoogendijk (tra gli altri lavori ricordiamo il pluripremiato documentario THE NEW e RIJKSMUSEUM del 2014):
C’è qualcosa di curioso in Rembrandt; è come se il suo lavoro avesse una veridicità, un’emotività e un’empatia così straordinarie che chiunque guardi un suo dipinto vada alla ricerca di se stesso. Questo è ciò che ha reso Rembrandt così speciale anche per i cittadini della Amsterdam del XVII secolo che facevano la fila per farsi ritrarre da lui: Rembrandt ha guardato sotto la superficie e ha mostrato chi fossero veramente le persone che disegnava. Non lusingava i suoi committenti, pur avendo un occhio per la vanità e la raffinatezza dell’ambiente sociale che dipingeva. E ha applicato questo metodo senza pietà anche a se stesso. I suoi autoritratti, specialmente quelli tardi, sono esplorazioni incredibilmente oneste del tributo psicologico che paghiamo nel corso delle nostre vite. Nei suoi ultimi ritratti, Rembrandt pare rassegnato. “Accettami come sono”, sembra voler dire. Il suo modo di dipingere ti fa capire che la vita non è perfetta e che ognuno ha i suoi difetti e questo è ciò che ci rende umani. È così che, dal XVII secolo, Rembrandt alza uno specchio per noi contemporanei, uno specchio che stuzzica e solletica. Come ha giustamente messo Taco Dibbits: Rembrandt è un omaggio all’umanità.