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NON ESSERE CATTIVO

9 Maggio 2016
2.287 Views
di Marta Dore

A volte i film fanno male. Li guardi e sei fisicamente a disagio, li ascolti e vorresti dimenticare quelle parole che sanno ferire, ci credi ma desideri che invece niente sia vero. Stai lì immobile o preda di una continua tensione, e sei tentata di andartene ma non ci riesci. Proprio non puoi. Vuoi sapere come andrà a finire, speri e speri, come in quelle storie d’amore che già dall’inizio sai che non hanno futuro, continui a sperare nonostante il fiato corto, nonostante tu sia già pronta allo schianto finale.

È così che si sta mentre scorrono le immagini frenetiche e scomode di Non essere cattivo, ultimo film di Claudio Caligari un regista che ha lavorato troppo poco, morto l’anno scorso, dopo aver concluso una preziosa trilogia cinematografica sui marginali e i cattivi, affresco dolente di un’Italia perduta.

Al centro di ogni film ci sono violenti, delinquenti, miserabili, gentlemen al contrario con il sogno di fare soldi facili, perché se spacci i soldi li fai, forse, ma anche no se sei un tossico pure tu.

Protagonista di Non essere cattivo, presentato a Venezia nel 2015, è una coppia di amici “praticamente fratelli”, Cesare e Vittorio, cresciuti insieme in quella periferia di Roma che si dispiega fino a Ostia, territorio di squallore disperato, dove tutti, compresi i delinquenti, si annoiano e annaspano in una mediocrità che gira su stessa, senza senso, impacciata.

Cesare, il più nevrotico dei due, votato all’autodistruzione, vive con una madre piegata dal dolore per una figlia morta di Aids, che le ha lasciato una bambina anch’essa malata. Difficile (impossibile?) tirarsi fuori.

Vittorio, invece, vive apparentemente solo. Spaccia, fa piccole rapine e si droga con la sua banda di amici senza una meta geografica ed esistenziale (‘ndo andamo? che famo? è il leit motiv delle loro conversazioni), fino a quando una crisi di allucinazioni da coca e pasticche lo spinge a provare a cambiare scenario, si trova una donna, che è una ragazza madre che arranca onestamente, si trova perfino un lavoro se così si può chiamare fare il manovale a giornata, sottopagato, senza sicurezze né garanzie nemmeno per il giorno dopo. Ma non fare il cattivo in un luogo che non dà speranza non è facile, il destino viene a cercarti anche se provi a nasconderti…

La forza di questo film doloroso sta nello sguardo pietoso (nel senso latino di pietas), ma mai melenso, che il regista dedica senza giudicarli a Vittorio e a Cesare, due personaggi che Caligari segue mostrandocene anche le tenerezze nascoste, come quando Cesare trasforma una casa abbandonata in un improbabile e dolcissimo nido d’amore. Ma la forza sta anche nei due attori che danno corpo e cuore ai due ragazzi: Alessandro Borghi, che sa disegnare un ombroso e tormentato Vittorio senza mai strafare, e Luca Marinelli, in questi giorni al cinema con Lo chiamavano Jeeg Robot del romano Gabriele Mainetti, struggente martire di periferia, vittima di se stesso e dell’ambiente che lo ha disegnato così, nevrotico e canaglia.

È un film doloroso Non essere cattivo, ma importante e interessante, perché fa parte di quella nuova onda cinematografica romana, che sta dimostrando che la nostra povera e depredata capitale nasconde risorse creative preziose. Forse non tutto è perduto.

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