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Ritorno a Reims

4 Novembre 2019
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di Federica Piergiacomi

“Volevo indagare le ragioni che negli ultimi anni hanno portato alla crescita così rapida del populismo di estrema destra in tante nazioni europee e nel mondo intero. Mi ha molto colpito l’analisi di Eribon che collega questo fatto al fallimento storico della sinistra tradizionale. Il grande pregio di questo saggio è di non condannare o deridere gli elettori di estrema destra ma di riflettere sul perché in tanti abbiano abbandonato i partiti di sinistra per abbracciare, in molti casi, un’ideologia opposta”.

Così Thomas Ostermeier, direttore della Schaubühne di Berlino, spiega la scelta di portare in scena, per la sua prima produzione italiana un testo come Ritorno a Reims, poco più di duecento pagine edite in Italia da Bompiani in cui il sociologo francese Didier Eribon passa dall’autoanalisi all’analisi della condizione sociale del suo Paese.

Eribon parte dall’esperienza diretta della propria famiglia, senza alcuna pretesa di portare avanti un’analisi politica, e finisce, al contrario, indagando il collegamento che si è instaurato in tutta Europa tra il fallimento della sinistra e l’ascesa dell’estrema destra di fronte alla “logica della pancia”.
Questo spettacolo che ha debuttato nel luglio 2017 a Manchester ed è diventato in poco tempo transnazionale. Nel settembre dello stesso anno era, infatti, in scena a Berlino, poi a Parigi e ora a Milano, in ogni Paese con un cast diverso e diversi adattamenti alla situazione politica del luogo e del momento.

Man mano che la vicenda di Eribon si sviluppa un po’ in scena e un po’ in video diventa chiaro che il punto dolente per lui non era l’omosessualità, anche se vissuta faticosamente fin dall’adolescenza, affaticata da una vita in provincia, bensì l’origine proletaria. Divenuto un intellettuale che si rifaceva a Foucault e Bourdieu, la vergogna sociale sembra aver pesato su di lui più di quella sessuale, tanto da allontanarlo dalla famiglia e dai fratelli fino alla morte del padre, che diverrà la scusa di questo viaggio a Reims, ben lontano dal noto viaggio rossiniano, alla ricerca della sua condizione originale rimossa.

Lo spettacolo è un vero e proprio spettacolo politico, si passa da alcuni momenti didascalici in stile Brecht a un dibattito vero e proprio, il regista scegli infatti di portare in scena il contributo diretto, non solo artistico ma anche politico, degli attori Rosario Lisma, Sonia Bergamasco e Tommy Kuti sono chiamati ad interrogarsi su quale sia il loro ruolo nella società.

La storia si sviluppa su tre piani. Il primo vede in scena uno studio di registrazione, dove un’attrice, un regista e un tecnico del suono lavorano al commento sonoro di un film-documentario su Eribon. Il secondo è proprio il film che scorre dietro agli attori in scena. Il terzo avviene quando si interrompe il lavoro per portare lo spettacolo sul piano di un dibattito politico circa la situazione attuale del Paese, attraverso uno scambio di battute tra Sonia Bergamasco e Rosario Lisma e poi successivamente anche con Tommy Kuti, inserendo anche una nota musicale con delle canzoni rap.

Lo spettacolo nei suoi passaggi risulta senz’altro fluido, a tratti un po’ retorico, ma se la tesi di Eribon è che si resta sempre inchiodati al nostro passato di classe con una sindrome edipica inconscia, quello che alla fine ci rimane dello spettacolo è un dibattito politico che ci porta ad interrogare noi stessi su cosa stiamo facendo ben al di fuori del teatro.

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