Regia di Francesco Frongia con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña
Di Federica Piergiacomi
Rosso, in scena per il momento al Teatro Elfo Puccini di Milano, ci racconta un momento significativo della vita del pittore americano Mark Rothko. Quello che colpisce per prima cosa è che già di per se di questo pittore non si parla tantissimo, a scuola si accenna appena, ma è ssenza dubbio uno degli esponenti più validi dell’espressionismo astratto, tra coloro che avevano soppiantato i cubisti e che saranno succeduti dalla Pop Art, in questo spettacolo di cui è protagonista, si avverte il suo spessore i suoi dilemmi, i suoi blocchi. Sicuramente riconosciuto come uno degli avanguardisti americani degli anni Cinquanta, non è dipinto come un genio assoluto, come un eroe, ma, al contrario, come un uomo comune con più insicurezze e debolezze che punti di forza.
John Logan sceneggiatore prevalentemente cinematografico (Ogni maledetta domenica, Gladiatore, The Aviator, Hugo Cabret, Lincoln) è già stato portato all’Elfo con Angels in America, altro testo straordinario. Il drammaturgo è, in questo caso, capace in modo singolare, di portare una realtà governata dalla psicologia sulla scena.
Ma non c’è solo la psicologia a recitare sul palcoscenico ci sono anche l’Arte, la Letteratura, la Filosofia, il Teatro, il Cinema, la Moda. L’arte è un po’ il mare a cui affluiscono tutti i fiumi della conoscenza, è in questa che tutto si traduce, trova espressione, e questo è un punto di forza avvertibile durante lo tutto spettacolo, non si fa uno senza l’altro, sono imprescindibili.
I due attori, guidati da una sapiente regia, riescono a dare il giusto riconoscimento ai loro personaggi, Bruni è un Rothko con forti reazioni, insicurezze che cerca di nascondere disprezzando tutto il resto, e se pure a volte i toni possono risultare esagerati non si ha mai l’impressione che sia uscito dal consentito. Ocaña è un assistente riservato, modesto che però si lascia guidare alla fine dalla sua passione dal Rosso che gli brucia dentro, forse perchè giovane, quell’ardore che invece sembra essersi nascosto nel maturo pittore che è comandato dalla paura di essere sommerso dal nero, senza accorgersi che così facendo gli apre le porte per impossessarsi dei suoi colori, della sua vita.
Di una cosa sola al mondo ho paura, che un giorno il nero inghiotta il rosso, questa l’angoscia che Logan mette in bocca a Mark Rothko, che non ci sia più il movimento della giovinezza nelle sue opere, che si siano spente che il rosso, in tutte le sue sfumature non riesca ad uscire dal nero della morte. Un concetto forte che si adatta un po’ ad ogni epoca se consideriamo la storia come un susseguirsi di cambiamenti.
Uno spettacolo carico, ricco, appassionante, con un ritmo cinematografico che non ti permette di tirare il fiato fino alla fine, puoi entrare senza sapere niente del pittore, esci arricchito di saperi su di lui ma ancora di più su te stesso.
Credo che in parte questo sia il dovere del teatro, il suo ruolo, il suo scopo. Più spesso a teatro si dovrebbero vedere lavori del genere.