di Cristina Ruffoni
“Cosi’ la penna va
sopra la carta liscia
di un quaderno, e non sa
come finisce
ogni sua riga,
dove si nascondono
saggezza ed idiozia
ma si fida dei moti della mano,
nelle cui dita batte la parola
del tutto muta,
senza togliere polline dai fiori
ma facendo piu’ lieve il cuore.”
Farfalla – Josif Brodskij
Dopo, piu’ di sessantacinque spettacoli teatrali con Luca Ronconi, altre esperienze e diverse collaborazioni internazionali, l’insegnamento, l’allestimento di mostre e numerosi premi, la scenografa Margherita Palli si appresta ad avventurarsi in un’altra sfida umana ed intellettuale: ‘GO. GO.GO’: un progetto scenico per il regista Aleksander Sokurov, con la partecipazione di Alyona Shumakova, per l’opera teatrale Marmi e altri testi poetici di Josif Brodskij al Teatro Olimpico Palladiano di Vicenza, che inaugura il 29 settembre 2016 fino al 2 Ottobre, in trasferta poi a Milano, al CTR, il Teatro dell’Arte alla Triennale, dal 7 al 30 ottobre 2016.
Pur in ambiti differenti e contesti temporali diversi, i due protagonisti russi e Margherita Palli, non sono e non possono essere riconducibili nello stretto e angusto territorio di un genere, accomunati dalla convinzione costante che fare una scenografia, un film o una poesia, siano una sorta di “vigilanza amorosa” come direbbe Roland Barthes.
La poesia e’ “uno straordinario accelleratore mentale, impresa estetica capace di raffredare la notra bestialita’, lo strumento migliore per mostrare agli uomini la visione reale dello stato delle cose”, ha sempre sostenuto Brodskij, convinzione condivisa da Sokurov, che vede nell’arte, l’unica vera forma di consapevolezza e di salvezza contrapposta agli apocalittici cambiamenti e alla profonda crisi in atto sull’intero pianeta.
Un’avvincente impresa, modellare e dare visione allo sguardo libero e ribelle di Brodskij, rispettando ed esaltando l’impianto architettonico palladiano, per chi come Margherita Palli, non si e’ posta dei limiti di sperimentazione e sconfinamento e per Sokurov, che ha potuto vagare indisturbato, prendendo possesso sia dell’Hermitage nel suo memorabile Arca Russa e del Louvre nell’ultimo film Francofonia.
Il numero di poesie dedicate all’Italia da Brodskij, e’ pari a quante ne ha scritte su tutto il resto dell’Europa ed e’ superiore perfino a quelle composte in relazione agli Stati Uniti, paese di cui era diventato cittadino dal 1977. Espulso dall’Unione Sovietica nel 1972, dopo anni di controlli e minaccie dallo Stato e un processo surreale che lo condanna ai lavori forzati a Norenskaja, non tornera’ piu’ nella sua amata Leningrado, sostituita da Venezia, ugualmente piovosa e nebbiosa, ma anche da Firenze e Roma, che diventano i temi centrali delle sue composizioni: “Il mondo e’ fatto di nudita’ e pieghe in queste ultime vi e’ piu’ amore che nei visi.”
Tutta l’Italia era apprezzata da Broskij nella sua complessita’, dalla storia, all’urbanistica contemporanea, dalla letteratura alla Pittura, dalla scultura all’architettura ma la tradizione si contrappone sempre alla modernita’ nel poeta, proprio come per Margherita Palli, instancabile sperimentatrice del ribaltamento dei codici di rappresentazione, quanto delle aspettative del pubblico. “A differenza della vita, un’opera non e’ mai data per scontata, e’ sempre vista in relazione ai suoi precursori e precedessori..”
Parallelamente alla scrittura poetica, Broskij, e’ anche stato un attivissimo traduttore e a parte la sua sconfinata passione e conoscenza degli autori inglesi, come Auden, si dedica tra i primi anni ’60 e ’70, alla traduzione di Quasimodo, Bassani, Govoni, De Libero, Saba e Cesare Pavese.
Il suo unico testo teatrale Marmi, da cui parte Sokurov, mette in gioco eterne dinamiche e pericolosamente in discussione il sapere dell’eta’ classica, ordinato, trasparente e fluido, dove apparentemente non esistono dicotomie o dualismi radicali e “il mondo e’ pensato come un cosmo nel quale l’uomo non occupa un posto privilegiato e l’essenziale che e’ ovunque, e’ un pullulare di forme e di entita’ irrapresentabili che precipitano l’esperienza in una torbidita’ costitutiva ed essenziale” come teorizza Michel Foucault in Le parole e le cose (1966).
I due protagonisti in Marmi, Publio, un romano autentico e orgoglioso e Tullio, un barbaro con un passato da combattente, racchiusi in una prigione, una torre vertiginosa, discutono di religione, storia, arte e Diritto, senza trovare un accodo o un’intesa comuni.
L’atto stesso della creazione, la ricerca di senso, non sono mai un percorso lineare, per Brodskij: “un poeta soffre due volte: primo quando immagina e poi quando l’immaginazione si fa cosa”.
Broskij sembra continuare ad inviare messaggi in cui si espande la rivendicazione di un’autonoma possibilita’ di comunicazione del corpo e del pensiero, per sempre irrinunciabile.
- “I fantasmi dei grandi sono particolarmente visibili al poeta”. E’ dello stesso parere di Brodskij, Sokurov, che in un intreccio spazio temporale, riesce a far incrociare i personaggi del passato, apparsi a volte dalle opere d’arte, con interlocutori di oggi, come per i trecento secoli della storia russa, che al cinema e’ riuscito a materializzare, in un unico piano sequenza. Margherita Palli attinge da un repertorio infinito, sempre in collaborazione con il pensiero ancora invisibile del regista, come quella volta che Martone le chiede di partire da un quadro di Hayez. In questo caso, e’ stato coinvolto Bosch. Quanto puo’ dare e al contempo togliere , la suggestione di un’opera d’arte cosi’ connotata per Margherita Palli? Un’opera eterna che puo’ dialogare con il presente.
In questo caso, piu’ che la singola opera, e’ lo spirito inquieto e attualissimo dell’artista ad averci ispirato, il suo bestiario arcaico e fantascientifico entra nel vivo e incarna le ossessioni e le paure del nostro tempo, come i topi meccanici che ho rinchiuso in gabbiette per la scena.
- «Il paesaggio puo’ fare a meno di me.. » Broskij in relazione all’Italia, considera il paesaggio, come il passato allo stato puro, per Venezia pecepisce lo spazio allo stato puro, « che vive una propria vita senza necessariamente coinvolgere le persone ». Sokurov ha espresso l’intenzione per questa occasione, di utilizzare anche delle figure mitiche del cinema italiano del passato. I costumi che hai pensato esprimono un Italia degli anni ’50, una memoria nostalgica ma atemporale ? Citazioni di un epoca che sono anche presenze surreali?
Anche per i costumi non impera uno stile unico e armonico ma una diversificazione che mescola ruoli, citazioni e stili, per un risultato espressivo trasversale, che non e’ mai solo scenico, storico ed estetico. Ad esempio, per gli attori, come Anna Magnani, si e’ rimasti fedeli all’icona nell’immaginario collettivo, anche per quanto riguarda l’abbigliamento, mentre invece i personaggi di Tullio e Publio appaiono fuori contesto e per le altre presenze che testimoniano un’Italia del dopoguerra, prima del ’68, evocative ma transotorie, ho volutamente contaminato le loro identita’ con un mix riconoscibile e al contempo spiazzante,
- Immaginare e comprendere due mondi : quello del regista e quello parallelo della poesia, obbliga ad attuare deviazioni di percorso. Sokurov e’ un narratore affabulatorio, définito dalla critica quasi ingombrante, che vaga tra storia e un futuro possibile alla Kubrick e i versi di Broskij esprimono forti legami per Dante, Ovidio e contemporanemente per Rilke e Auden , un’ispirazione classica che s’immerge negli abissi incerti della modernita’. Anche la ricerca e la ricomposizione degli oggetti che trovi per la scena, rappresentano questo ribaltamento semantico, lavorando sullo slittamento di senso?
In questa pratica comune di andata e ritorno in epoche e di ricerca di senso, ci siamo trovati complici, disegnando un arco di riferimenti che va da Dante a Fellini, da Freud all’antica Roma, con una
liberta’ espressiva che sfugge anche dalle dinamiche ormai obsolete del post moderno. Nella scena compare un carretto, un bar ambulante, elemento che sposta ulteriormente la visione su una rappresentazione mobile. Non potendo intervenire sull’impianto architettonico palladiano, abbiamo trovato delle alternative spaziali e materiche, come i cubotti di porfido in bianco e nero, che simulano una piazza, sul pavimento di legno che non si poteva modificare.
- Broskij e’ stato docente per moltissimi anni nelle Università americane ma il suo era un rifiuto d’insegnare, mise in atto una lenta lettura condivisa, un ideale di oralita’ e di esperienza vissuta, al di la’ dell’immobilita’ della scrittura. Anche Margherita Palli come insegnante, vuole trasmettere una realtà professionale, una consietudine all’ elaborazione della pratica del ‘montaggio’, in cui vengono a mescolarsi linguaggi tecnologici di diversa provenienza?
Anche per quanto riguarda il rifiuto di Broskij degli incarichi uffuciali e la sua generosita’ e apertura nell’interlocutore, non possono che trovarmi concorde. Si tratta sempre di esperienza condivisa, passione comune, scambio di strumenti, che accadono nella sperimentazione, nel fare. Da tempo, come per questo progetto a Vicenza, oltre al mio fedele assistente Mario Cristini e alla costumista Alexandra Nikolaeva, ho coinvolto come stagista un mio studente della Naba, Giorgia Amabili.
Non esiste un “ linguaggio” della realtà, quindi s’innescano dei processi percettivi, fattuali e mentali per rimanere in ascolto del quotidiano, senza escludere le fondamentabili meraviglie del passato.
- Dal suo primo atto di ribellione, quando Broskij lascia la scuola a quindici anni, ha inizio la sua condizione di eterno esule, quell’occasione che per Susan Sontang, e’ stata fondamentale per diventare un poeta mondiale, eppure lui stesso ha sempre negato il lato politico dei suoi gesti, rivendicando un’operazione di rottura sul piano etico e linguistico. Sokurov ha indagato il potere, nella tetralogia su Lenin, Hitler e Hiroito. In quale spettacolo teatrale del passato sei riuscita a tradurre al meglio l’impegno etico senza cadere nella retorica di alterita’ ai potenti in modo strettamente politico ?
Primo fra tutti, la tetralogia a Siracusa e poi a Milano, con Luca Ronconi: “Prometeo incatenato di Eschilo, Le Baccanti di Euripide e soprattutto Le Rane di Aristofane”, del 2002, durante l’allenza di governo tra Lega, Fini e Berlusconi. Piu’ che una rilettura in chiave attuale del mito, la critica e la stampa, tra polemiche e diatribe, se pur entusiasmanti, definirono la regia e la scenografia estremamente barocca, come una lucida ma malinconica lettura del disfacimento e di quel degrado in atto nel nostro paese. Il viaggio di Dioniso in ricerca del poeta per salvare la tragedia, diventa anche un tentativo di salvezza per Atene e una condanna del Coro nei confronti dell’inedeguatezza e della corruzione dei governanti.
Ritorniamo all’S.O.S etico di Brosckij e all’eterna tensione: il Potere, rispetto alla Poesia, e’ sempre mancanza di linguaggio e il compito di quest’ultima, e’ svelarne le contraddizioni interne.
- Spesso negli interventi di Margherita Palli, l’ironia si trasforma in una dimensione del nonsense, in forme raffinate, una specie di paradosso del linguaggio, in quest’occasione riesci a mantenere questa tua caratteristica? Per esempio nella scelta e combinazione degli oggetti? Nella contrapposizione degli opposti?
Cio’ che muta e’ la nostra esperienza del reale in uno spaziotempo in cui i paradossi e le contraddizioni si infittiscono al posto delle certezze, rimane l’eccitazione e l’urgenza di esibire delle idee, di tradurre il pensiero, pensando sempre a Broskij, quando descrive l’intensita’ della sua gioia provocata dalla lettura di Auden, «non intendendo un semplice piacere, perche’ la gioia e’ qualcosa di molto oscuro ».