di Erika Lacava
Lupi e falchi sono creature potenti e selvagge, comuni nei boschi dell’Abruzzo dove Tiziana Cera Rosco è cresciuta. Meno comuni sono invece le aquile. Quando era piccola, all’età di circa quattro anni, Tiziana Cera Rosco ha assistito al ritrovamento di un’aquila reale in un bosco. Sdraiata a terra, con una completa apertura alare, era la creatura più imponente che avesse mai visto. Con un volto deturpato, non bello, quell’essere nel suo insieme aveva una potenza impareggiabile, che l’attirava a sé invitandola a farlesi più vicina, a distendersi sul suo petto e a sentirne il calore.
Questo avvenimento ha costituito un punto fermo nell’infanzia di Tiziana Cera Rosco e, successivamente, un momento determinante nel pensiero critico del suo fare arte. Quanto l’idea di bellezza è legata a quella di potenza? Per Tiziana Cera Rosco bellezza e potenza sono dissociate, appartengono a due sfere concettuali differenti che si possono incontrare, ma non necessariamente. Kant usava il concetto di sublime per descrivere un concetto di bellezza simile, non più intesa come equilibro armonico tra le parti ma come qualcosa che straborda, che fa traballare questo equilibrio, e che travalica i limiti dell’intelletto umano per dimensione e potenza: un mare in tempesta, le montagne immense, gli abissi. Un concetto che non mette limiti neanche allo sconfinamento nel brutto, che per Rosenkranz è invece mancanza di forma e di rispetto simmetrico delle forme, di rottura di un equilibrio.
L’aquila di Tiziana Cera Rosco interseca i concetti il brutto e di sublime per restituire un’idea di bellezza più ampia che non teme di essere deturpata. Così lei, bellissima, si accosta a qualcosa che va oltre la bellezza esteriore alla ricerca di un valore più alto, fino a sfiorare il brutto ma senza neppure più vederlo tale. Così il giorno del suo compleanno di due anni fa Tiziana Cera Rosco decide di regalarsi una maschera trovata per caso in un negozio di anticaglie, una testa d’aquila che la riporta a quell’idea di potenza, unione di bellezza e bruttezza insieme, incontrata nel bosco tanti anni prima. Una maschera più grande delle dimensioni di una testa umana, fuori misura e brutta, che porta verso una rottura dei canoni estetici di equilibrio e proporzione. Da maschera colorata e un po’ pacchiana, l’artista la trasforma in bianco alter ego, neutralizzando ogni elemento di disturbo e facendone risaltare i lineamenti.
Nasce così la Sposa Uccello, elegante dama dai vestiti lunghi e larghi che si aggira per città e luoghi naturali in cerca del suo completamento. Corpo di donna con la testa d’aquila, un essere ibrido opposto alle arpie mitologiche. Per i caffè di Milano, le sconfinate terre islandesi o canadesi, le strade di New York, il Louvre di Parigi: ogni posto, che sia pubblico o privato, è adatto per la Sposa Uccello, che interpreta le istanze culturali e quotidiane di una vita normale, reinterpretata con la privazione del volto, e quindi dell’identità personale. La Sposa Uccello propone una modalità che, grazie alla protezione visiva che mette tra sé e il mondo, consente di essere realmente se stessi, permettendole di non esprimersi verbalmente, dopo che per anni, come poetessa, ha esplorato il linguaggio nascendo all’arte proprio a partire da questo. Nel suo lavoro di artista il volto e il corpo sono elementi fondanti da cui nascono le performance, e da cui si formano successivamente calchi che diventano maschere e doppi di se stessa. Se nel suo laboratorio le maschere e i busti prendono vita staccandosi dal suo corpo per diventare esseri autonomi, sculture che replicano le sue sembianze esterne, indossare una maschera diventa al contrario un portare la potenza dell’aquila su di sé, assorbirne energia tramite l’aderenza della plastica al suo volto.
I calchi di Tiziana C R diventano così la figura del doppio, immagine presente nei suoi lavori sia sotto forma di manichino, figura a cui si accompagna costantemente, sia della propria immagine riflessa nel progetto fotografico del Narciso.
L’uso della maschera, oltre che richiamare il tema del doppio caro a tanta letteratura, dalle metamorfosi di Ovidio, a Dorian Gray, al clown di Heinrich Boll, ci riporta alle origini del ritratto nell’antica Roma, dove era abitudine prendere il calco del volto del defunto per custodirlo nel tabernacolo che in casa era dedicato agli antenati. Quanto potevano essere belle queste maschere, prese nel momento più lontano dalla vita come è quello della morte? Quello che importava in queste maschere era, oltre alla somiglianza che attestava, per le classi nobili, la discendenza di una famiglia, la funzione simbolica di ricordo che la maschera assolveva, sia a livello pubblico di memoria storica sia privato a livello affettivo. Nulla di più lontano dal valore estetico, nel nostro attuale senso del temine, del ritratto, ma qualcosa che ricorda più il potenziale evocato dall’uso della maschera in Tiziana Cera Rosco. Anche l’aquila risponde alla logica del doppio, creando un altro da sé che fa presenza al suo posto, ma pur sempre lei stessa sotto mentite spoglie. Una sorta di svelamento al contrario, non una divinità che si incarna in sembianze umane per confondersi e agire da dio sugli uomini, ma un uomo (una donna) che si manifesta sotto le sembianze di un dio per acquisirne le forze, in una sorta di rituale tribale o carnevalesco.
La Sposa Uccello dal 2016 ha performato in Italia, Canada, Stati Uniti, Francia, Islanda, Argentina, Germania ed è presente nel video di Luca Gemma “La felicità di tutti”, 2017 (in foto).
TIZIANA CERA ROSCO
Artista e poetessa italiana (1973). Cresciuta tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e le Sacre Scritture, é arrivata all’immagine attraverso la parola poetica e ha iniziato a lavorare con il proprio corpo usando la fotografia -il selfportrait – intesa come gesto di un atto performativo. Le sue performance, nate nella terra in cui è cresciuta, sono in stretta relazione con il luogo e si svolgono in posti sacri, che siano boschi, foreste, chiese consacrate e sconsacrate, monasteri. La sua attività scultorea prende vita da quella performativa, in un innesto di figure umane, vegetali e animali. Nei suoi lavori ha affrontato il tema della castità selvatica, della deposizione, del perdono, del doppio, della metamorfosi con la natura, del dio nascosto. Scrittura, fotografia, performance, scultura: tutto fa parte di un unico linguaggio come tentativo di accoppiamento o di separazione dal mondo dove il ruolo dell’artista è quello di essere ricettivo, una figura della soglia. Ha esposto e performato sia in Italia che all’estero. Ospite di numerosi festival nazionali ed internazionali, sta costruendo una casa di eremitaggio artistico. Le sue poesie sono tradotte e pubblicate in 4 lingue.